Sezione archeologica

Localizzata all’ultimo piano del Museo, la sezione espone una collezione di reperti ritrovati nel territorio di Arborea durante le opere di bonifica ed altri inediti risultato di scavi recenti.

I corredi funerari della necropoli di S’Ungroni, inizialmente esposti nei locali del Comune e in seguito trasferiti al MUBA, sono stati oggetto di una rilettura nel nuovo percorso espositivo realizzato; a questi si sono aggiunti i reperti provenienti dal pozzo sacro di Orri, santuario costiero scoperto in epoca recente.

Dallo scavo sono emersi sporadici materiali di epoca nuragica ed una straordinaria varietà di tipologie di votivi propri della fase santuariale punica e romana che vanno ad ampliare la precedente collezione. L’esposizione è corredata da un apparato esplicativo dedicato, cui si aggiungono alcuni rifacimenti in copia per l’esperienza tattile.

LA COLLEZIONE CIVICA ARCHEOLOGICA DEL MUBA

La sala archeologica del MUBA ospita i reperti emersi dagli scavi che misero in luce la necropoli di S’Ungroni. Questo sito fu scoperto casualmente nel 1868 da pastori della Barbagia (probabilmente di Tonara) che avendo osservato dei ruderi sopra terra si diedero a praticare scavi (illeciti) con la speranza di trovare beni preziosi.

Ad emergere furono piuttosto alcuni sotterranei che appartenevano a sepolture di famiglia (dei Gordiani e dei Filippi) e che custodivano monete e stoviglie di vario formato. Sessantaquattro anni dopo la necropoli di S’Ungroni fu nuovamente interessata da scoperte archeologiche.

 

Il Comune potenzierà la dotazione della collezione che ha mantenuto la disposizione originale, stile primo Novecento, per non disperdere l’autentica vocazione data dall’illustre archeologo e Sovrintendente Antonio Taramelli (Udine, 1868 – Roma, 1939).

«Questo materiale archeologico – scrisse nel 1932 – è la prova evidente di una fase di vita in quella regione, poi abbandonata per lungo corso dei secoli, fino alla ripresa di fervido lavoro dovuto a codesta benemerita Società, ed è bene che rimanga e sia raccolto e degnamente custodito nel centro del nuovo Comune.
Si potrebbe formare così, non dico un Museo, ma una raccoltina nella quale si disponessero i materiali delle tombe, vasi in vetro ed in terracotta, i pochi monili, le monete, le lampade e quei pochi indizi che restano sull’età e sul carattere del deposito; in questo modo sarebbe posto in luce che l’opera odierna della Società delle bonifiche procede arditamente sulle tracce di Roma».

IL TEMPIO A POZZO NURAGICO DI ORRI

L’area archeologica di Orri è ubicata nel territorio del Comune di Arborea, sulle attuali rive di un piccolo specchio d’acqua chiuso da un tombolo, che si affaccia sulla acque del Golfo meridionale di Oristano.

Le ricerche nel sito sono principiate nel settembre 2006 con un primo cantiere della durata di quattro mesi e sono proseguite anche se non continuativamente con un secondo cantiere di due mesi. Complessivamente i lavori si sono protratti fino a maggio 2007, comportando un massiccio diserbo, la sistemazione dell’area con il rimedio ai danni provocati dagli scavi clandestini e la posa in opera di una recinzione in rete di un metro di altezza.

La struttura cultuale è riconducibile al tipo del tempio a pozzo nuragico, un genere di edifici sacri che in Sardegna sembrano proliferare fra il XIII ed il IX sec. a.C. e, contrariamente ai nuraghi, di cui in tutta l’Isola se ne contano oltre sette mila, questo tipo di edifici sono oltremodo inconsueti, non arrivando a contarsene un centinaio.


Della costruzione in blocchi di pietra locale appena lavorati e che purtroppo mostra fasi di spoglio e scavo clandestino, residua probabilmente un corridoio/atrio, una breve scalinata di accesso all’acqua e, parte della tholos che inscriveva la zona con l’acqua sorgiva – acqua che tutt’oggi continua ad affluire –, e che rappresentava il sancta santorum, area il cui accesso era riservato solo agli operatori del culto.

I materiali recuperati indicano una frequentazione che va dal Bronzo recente e finale fino ad epoca romana, il cui floruit sembra essere stato fra IV e II sec. a.C. quando all’antico culto indigeno delle acque si sovrappose il culto punico di una divinità salutifera con poteri taumaturgici.

In conclusione, le indagini archeologiche hanno portato a dei risultati che attualmente risultano in corso di stampa nella collana Tharros felix, edita dalla casa editrice Carocci di Roma, ad opera della scrivente, della Dott.ssa E. Usai, Ispettrice archeologa della Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari ed Oristano, direttrice scientifica del cantiere e del Prof. R. Zucca, collaboratore e consulente delle ricerche.

Dott.ssa Barbara Sanna